mercoledì 20 marzo 2013

Lo sa il vento

Da leggere:



Lo sa il vento
Il male invisibile della Sardegna


Autori: Carlo Porcedda, Maddalena Brunetti
€: 14,00
pagine: 224
ISBN: 978-88-6627-013-3
Anno: 2011




Contadini al Salto di Quirra

I VELENI DI QUIRRA
Inchiesta

la Repubblica
IL CASO di MARCO CORRIAS

Salto di Quirra, la mattanza del Poligono.
Cento morti sospette, tumori, deformità

Istituita nel 1956, l'area militare situata nel Sarrabus, in Sardegna, è una piccola industria che dà lavoro a soldati, civili, tecnici. Ha ospitato sperimentazioni belliche e addestrato soldati di tante nazionalità. Migliaia di esplosioni di missili terra aria e anticarro - pure i famigerati Milan francesi che rilasciavano torio radioattivo - hanno provocato conseguenze letali su uomini, animali e territorio. Domenico Fiordalisi, capo della procura di Lanusei, ha indagato sulla vicenda. Venti persone (tra cui 7 generali) sono finite sotto inchiesta per aver nascosto il disastro ambientale: l'udienza è fissata per il prossimo 17 luglio
Era una famiglia numerosa e compatta. Due anziani genitori e dieci figli che si dividevano i lavori per mandare avanti questo piccolo podere: gli alberi da frutta, l'orto, i campi da arare, gli animali da cortile, le pecore e le mucche da accudire, un po' allo stato brado un po' riparate dentro la stalla bianca, poco discosta dalla casa. Più in là, a qualche centinaio di metri sulla collina, le cupole di due strani edifici, anch'essi bianchi. Il Poligono militare di Salto di Quirra incombe e circonda questo e altre decine di piccoli poderi, case sparse, ovili.

La gente di queste terre conserva il pudore antico di chi non ama esibire il dolore. E ti racconta storie drammatiche chiedendo l'anonimato. C'erano dieci figli, qui, ma due se li è portati via il tumore e altri due combattono contro la stessa malattia. E la mamma, donna forte senza più lacrime, seduta al tavolo della scarna cucina, dice che lei stessa è stata colpita dal male, anche se sembra non curarsene, anche se non sa come andrà a finire. C'è il pudore atavico, ma c'è anche la paura d'essere accusati di esibizionismo, di danneggiare la povera economia locale di questa zona della Sardegna povera tra le povere, il Sarrabus.

È già accaduto, e l'ostracismo sociale si fa più feroce quando c'è di mezzo il lavoro e la già misera occupazione rischia di estinguersi. Perché il poligono è una piccola industria che dà da mangiare a qualche centinaio di persone. Militari, ma anche civili, operai e tecnici altamente specializzati della Vitrosicet, l'azienda legata all'Aeronautica, che controlla i sistemi elettronici degli armamenti impiegati nel poligono e ne cura la manutenzione. Naturale, quindi, che per anni i pochi avventurosi che osavano protestare contro questa e altre basi militari che fanno della Sardegna la regione a più alto tasso di occupazione militare del territorio, abbiano dovuto combattere su due fronti: i militari e i loro alleati, cioè buona parte della popolazione di Villaputzu, di Muravera, di San Vito, Di Perdasdefogu. Paesi dove per anni si sono tenuti convegni presieduti dai sindaci per confutare gli ambientalisti anti base, per dire che nessun danno alla salute poteva venire dai missili e dalle bombe, i cui fragori e le cui nuvole di polvere invadevano case a campagne.

C'è voluta tutta la testardaggine e forse la temerarietà di Domenico Fiordalisi, capo della procura di Lanusei venuto dalla Calabria, dove si è occupato a lungo di antimafia, per bucare il muro d'omertà che ha sempre avvolto il poligono con la sua propaggine a mare di Capo San Lorenzo, costa est dell'isola. Centotrenta chilometri quadrati di terra selvaggia e mare bellissimo, interdetto, però, alla navigazione e alla pesca, e sfregiato nei suoi fondali da ogni sorta di rifiuto militare: obici, bombe inesplose, pezzi di missile, come hanno documentato i sommozzatori inviati da Fiordalisi per inserire anche questo tassello nella mole di dati, reperti, analisi e testimonianze che costituiscono il nerbo di un'inchiesta ambientale che per la prima volta in Italia ha intaccato la sacralità di un'istituzione militare .

Non era mai accaduto che sette generali dell'Aeronautica militare, sei dei quali ex comandanti del Poligono, ma anche due colonnelli, un maggiore, un tenente, oltre a tecnici e ricercatori di società private e dell'Istituto di Scienze ambientali Sarfatti dell'università di Siena, medici e persino un sindaco, quello di Perdasdefogu, per un totale di venti persone, venissero messi sotto accusa per reati che vanno dalla "omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri" al falso ideologico per avere cercato di nascondere la reale portata del disastro ambientale causato dalle attività del Poligono.

L'udienza definitiva del giudice dell'udienza preliminare che dovrà decidere se avviare a processo gli accusati, dopo una serie di rinvii è fissata per il 17 luglio, giorno in cui si pensa sarà pronta la perizia disposta dal Gup per verificare se le attività dentro il Poligono, con la conseguente diffusione di elementi letali per la salute dell'uomo, abbiano o no avuto ripercussioni sul territorio circostante, come afferma la pubblica accusa.

Sta lì da 57 anni il Poligono interforze del Salto di Quirra, essendo stato istituito nel 1956 con il compito preciso di sperimentare nuovi sistemi d'arma. Ma non è un Poligono per le sole forze armate italiane. Qui vengono ad addestrarsi israeliani, turchi, tedeschi, inglesi, paesi della Nato ma anche paesi dell'est e, in passato, persino i libici di Gheddafi. La notte del 27 giugno 1980, in cui l'aereo Itavia diretto a Ustica fu colpito e abbattuto da un missile rimasto misterioso, nel Poligono, secondo alcuni testimoni, erano presenti specialisti libici, che la mattina dopo furono rispediti in tutta fretta a casa.

Gestito dal centro sperimentale volo del comando logistico dell'Aeronautica militare, il Poligono è diviso in due aree. Quella a mare, di 2mila ettari per 50 chilometri di costa, verso cui, attraverso le rampe, avvengono i lanci di missili terra aria che viaggiano verso bersagli simulati e che riducono i fondali a un'immensa pattumiera. L'area a terra, di 12 mila ettari, è invece utilizzata per l'addestramento al tiro dagli elicotteri e con mezzi corazzati e di artiglieria. Qui fino al 2003 vennero lanciati 1187 dei famigerati missili anticarro Milan, di fabbricazione francese, ritirati poi proprio perché considerati pericolosi a causa del rilascio di torio radioattivo contenuto nei loro sistemi di guida. È in quest'area, in zona Torri, esposta a tutti i venti perché a 600 metri sul livello del mare, che avveniva, dal 1984 al 2008, quella sorta di tiro al bersaglio contro munizioni e sistemi d'arma ormai obsoleti, che il Procuratore Fiordalisi cita nell'atto d'accusa contro i generali. "Enormi quantità di munizioni e bombe fuori uso che provenivano dagli arsenali di tutt'Italia e varie teste di missili Nike, che avevano valvole radioattive, con cariche di biglie al tugsteno, altamente cancerogene se vaporizzate nell'aria e respirate... e missili anticarro come il Tow che contiene amianto".

Forti esplosioni che, secondo i periti della Procura, producevano nuvole di nanoparticelle che poi ingerite per via diretta o attraverso il cibo e l'acqua avrebbero provocato un centinaio di morti tra i 167 ammalati di tumori, accertati tra pastori e altri abitanti e dipendenti civili e militari del poligono. Esplosioni provocate anche da altri tipi di esperimenti. Come i bombardamenti contro simulazioni di gasdotti e condotte petrolifere, per testarne la resistenza in caso di attentati.

Oltre ai morti, sostiene Fiordalisi nella sua indagine, vanno contate le deformità di animali e persone. Agnelli nati con un solo occhio e con mostruose alterazioni, secondo le segnalazioni di due veterinari della zona, dalle rivelazioni dei quali è nata l'inchiesta. Ma anche numerosi casi di bimbi malformati e menomati. Nel paese di Escalaplano nei giorni scorsi è morta, all'età di 25 anni, Maria Grazia, una ragazza nata nel 1988 con gravi menomazioni. In quell'anno, nel paesino che conta poco più di duemila abitanti, furono ben 14 i bambini nati con malformazioni o tumori mortali. Il caso di Maria Grazia, della cui mamma Fiordalisi è riuscito, dopo molte e delicate insistenze, ad avere la testimonianza, è raccontato nell'inchiesta ed è uno dei pilastri d'accusa.

La risposta degli scettici è però sempre la stessa: niente di quel che dice Fiordalisi può essere dimostrato. Intanto, dice l'Avvocato dello Stato Francesco Caput, in difesa dei generali e degli ufficiali, "una commissione d'inchiesta parlamentare ha escluso la presenza nel Poligono di uranio impoverito e quindi è escluso qualsiasi collegamento con la salute della gente del posto". E così si avanza la richiesta di un'indagine epidemiologica per dimostrare che l'incidenza dei morti di tumore, sul totale della popolazione del Sarrabus, è irrilevante se non inferiore a quella di altre zone dell'isola. Una richiesta che fa andare su tutte le furie Mariella Cao, combattiva e storica leader antimilitarista di "Gettiamo le basi": "Questi vogliono spalmare i poveri morti su tutta la popolazione. Ma i morti accertati, un centinaio, sono tutti concentrati tra i pastori della zona e nella frazione di Quirra. Guarda caso nelle zone più esposte alle esplosioni".

Il giudice Nicola Clivio che presiede il procedimento preliminare per decidere se mandare a processo i 20 accusati, ha ammesso ben 62 parti civili. Un numero straordinario di parti offese: oltre ai parenti delle vittime, i pastori sfrattati dal Poligono, associazioni ambientaliste, la Provincia di Cagliari, i Comuni di Villaputzu, Ulassai, Tertenia e Villagrande e persino una decina di abitanti che pur non lamentando danni diretti, rivendicano però il danno da esposizione. Manca invece il governo e, soprattutto la Regione Sarda.

In silenzio, attenta a ogni fase del dibattimento, c'è una donna che non ha quasi mai perso un'udienza nel tribunale di Lanusei. È la madre di Valery Melis, il militare di Cagliari morto a 26 anni per un linfoma di Hodgkin dopo una missione in Kossovo e vari addestramenti nel poligono di Capo Teulada. È stata la prima a denunciare il legame tra le esplosioni e le morti per tumore di militari e civili. In primo grado, in sede civile il governo è stato condannato a risarcire la famiglia di Valery. Poi, dice lei con un sorriso mesto, "c'è stato il ricorso del governo e ancora aspettiamo giustizia".

23 marzo 2013
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/03/20/news/salto_di_quirra-52980833/?ref=HREC2-5

sabato 16 marzo 2013

Acqua

Nei lavori di sistemazione di casa si è trovata una risorgiva e dei pozzi. Tra poco l'acqua di fonte correrà a dissetare l'orto.

Cassone delle fragole

Quest'oggi, mentre su Roma volavano rondini felici, ho spostato il cassone delle fragole, rinnovato parte della terra delle stesse e messo a dimora nuove piante. Il cassone è piccolo (120cm x 60), ma la terra che ci sta...ad ogni travaso mi ri-stupisce. Le vecchie piante non sono state buttate, prima che venisse notte, le ho raccolte e ripulite. Ora sono in un secchio al coperto avvolte in fogli di giornali umidi per non far danno alle radici. Domani, se avrò ancora forza nel rosso dei viali, risposta nei muscoli, le riporrò nel secondo cassone, un po' più piccolo ma non meno profondo del primo.

A casa quest'anno ci sono i muratori e, oltre alla polvere, si possono raccogliere i grigliati di legno che lasciano dopo aver posato i mattoni. Alcuni, puliti e adattati, li ho messi nel cassone, per tener alto il collo delle fragole che cresceranno ed impedire loro di toccare terra e rovinarsi. Manca solo la paglia e poi il lavoro per quest'anno sarà finito. Fino al raccolto bisognerà badare solo a che abbiano acqua sufficiente.

Pietro



Care senatrice, cari senatori, mi scuserete ma voglio rivolgere questo primo discorso soprattutto a quei cittadini che stanno seguendo i lavori di questa aula con apprensione e con speranza per il futuro di questo paese.

Il paese mai come oggi ha bisogno di risposte rapide ed efficaci, all’altezza della crisi economica, sociale, politica che sta vivendo.

Mai come ora la storia italiana si intreccia con quella europea e i destini sono comuni.

Mai come oggi il compito della politica è quello di restituire ai cittadini la coscienza di questa sfida.

Quando ieri sono entrato per prima volta da senatore in questa aula mi ha colpito l’affresco sul soffitto che vi invito a guardare. Riporta quattro parole che sono state sempre di grande ispirazione per la mia vita e che spero lo saranno ogni giorno per ognuno di noi nel lavoro che andiamo ad affrontare: Giustizia, diritto, fortezza, concordia.

Quella concordia, quella pace sociale di cui il paese ora ha disperatamente bisogno.

Domani è l’anniversario dell’unità d’Italia, quel 17 marzo di 152 anni fa in cui è cominciata la nostra storia come comunità nazionale, dopo un lungo e difficile cammino di unificazione.

Nei 152 anni della nostra storia, soprattutto nei momenti difficili, abbiamo saputo unirci, superare le differenze, affermare con fermezza i nostri valori comune e trovare insieme un sentiero condiviso.

Il primo pensiero va sicuramente alla fase costituente della nostra repubblica, quando uomini e donne di diversa cultura hanno saputo darci quella che ancora oggi viene considerata una delle carte costituzionali più belle e più moderne del mondo.

Lasciatemi in questo momento ricordare Teresa Mattei che ci ha lasciato pochi giorni fa, che dell’assemblea costituente fu la più giovane donna eletta, che per tutta la vita è stata attiva per affermare e difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati anche nel nostro paese

Siamo davanti a un passaggio storico straordinario, abbiamo il dovere di esserne consapevoli, il diritto e la responsabilità di indicare un cambiamento possibile perché è in gioco la qualità della democrazia che stiamo vivendo. E allo stesso tempo dobbiamo avviare un cammino a lungo termine, dobbiamo davvero iniziare una nuova fase costituente che sappia stupire e stupirci.

Oggi è il 16 marzo, e non posso che ringraziare il presidente Colombo che stamattina ci ha commosso con il ricordo dell’anniversario del rapimento di Aldo Moro e della strage di via Fani che provocò la morte dei cinque agenti di scorta, come lui stesso ha ricordato, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Al loro sacrificio di servitori dello stato va il nostro omaggio deferente e commosso.

Oggi bisogna ridare dignità e risorse alle forze dell’ordine e alla magistratura.

Sono trascorsi 35 anni da quel tragico giorno che non fu solo il dramma di un uomo e di una famiglia, ma dell’intero paese. In Aldo Moro il terrorismo brigatista individuò il nemico più consapevole di un progetto davvero riformatore, l’uomo e il dirigente politico che aveva compreso il bisogno e le speranze di rigenerazione che animavano dal profondo e tormentavano la società italiana. Come Moro scrisse in un suo saggio giovanile, “forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete, ma è sempre un grande destino.”

Oggi inoltre migliaia di giovani a Firenze hanno partecipato alla giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia. Vi confesso che mi è molto dispiaciuto non potere essere con loro come ogni anno. Hanno pronunciato e ascoltato gli oltre 900 nomi di vittime della criminalità organizzata: nomi di cittadini, appartenenti alle forze dell’ordine, sindacalisti, politici, amministratori locali, giornalisti, sacerdoti, imprenditori, magistrati, persone innocenti, uccise nel pieno della loro vita. Il loro impegno, il loro sacrificio, il loro esempio dovrà essere il nostro faro.

Ho dedicato la mia vita alla lotta alla mafia in qualità di magistrato e devo dirvi che, dopo essermi dimesso dalla magistratura, pensavo di potere essere utile al paese in forza della mia esperienza professionale nel mondo della giustizia. Ma la vita riserva sempre delle sorprese.

Oggi interpreto questo mio nuovo, imprevisto impegno con spirito di servizio per contribuire alla soluzione dei problemi del paese.

Ho sempre cercato verità e giustizia e continuerò a cercarle da questo scranno, auspicando che venga costituita una nuova commissione di inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro paese.

Se oggi davanti a voi dovessi scegliere un momento in cui raccogliere la storia della mia vita professionale precedente, non vorrei limitarmi a menzionare gli amici e i colleghi caduti in difesa della democrazia e dello Stato di diritto che io ho conosciuto: non c’è, infatti, un solo nome, un volto che può raccoglierli tutti, e purtroppo se dovessi citarli tutti, la lista sarebbe ahimè troppo lunga.

Mi viene piuttosto in mente nel cuore un momento che li abbraccia a uno a uno. E’ il ricordo della voce e delle parole di una giovane donna. Mi riferisco al dolore straziato di Rosaria Costa, la moglie dell’agente Vito Schifani, morto insieme ai colleghi Rocco Di Cilio e Antonino Montinaro nella strage di Capaci del 1992 in cui persero la vita anche Giovanni Falcone e Francesca Morvillo.

Non ho dimenticato le sue parole il giorno dei funerali del marito, quel microfono strappato ai riti e alle convenzioni delle cerimonie:




Giustizia e cambiamento: questa è la sfida che abbiamo davanti. Ci attende un intenso lavoro comune per rispondere con i fatti alle attese dei cittadini che chiedono anzitutto più giustizia sociale, più etica, nella consapevolezza che il lavoro è uno dei principali problemi di questo paese.

Penso alle risposte che al più presto ed è già tardi dovremo dare ai disoccupati, ai cassintegrati, agli esodati, alle imprese, a tutti quei giovani che vivono una vita a metà, hanno prospettive incerte, lavori – chi ce l’ha – poco retribuiti, quando riescono a uscire dalla casa dei genitori, vivono in appartamenti che non possono comprare, cercando di costruire una famiglia che non sanno come sostenere.

Penso alla insostenibile situazione delle carceri nel nostro paese che hanno bisogno di interventi prioritari.

Penso a una giustizia che oggi va riformata in modo organico, agli immigrati che cercano qui da noi una speranza di futuro, ai diritti in quanto tali che non possono essere elargiti col ricatto del dovere e che non possono conoscere limiti, altrimenti diventano privilegi.

Penso alla istituzioni sul territorio, ai sindaci dei comuni che stanno soffrendo e faticano per garantire i servizi essenziali ai loro cittadini. Sappiano che lo Stato è dalla loro parte e che il nostro impegno sarà di fare il massimo sforzo per garantire loro l’ossigeno di cui hanno bisogno.

Penso al mondo della scuola nelle cui aule ogni giorno si affaccia il futuro del paese e agli insegnanti che fra mille difficoltà si impegnano a formare cittadini attivi e responsabili.

Penso alla nostra posizione sullo scenario europeo, siamo tra i fondatori dell’unione, il nostro compito è portare nelle istituzioni comunitarie le esigenze e i bisogni dei cittadini. L’Europa non è solo moneta ed economia, deve essere anche incontro di popoli e culture.

Penso a questa politica alla quale mi sono appena avvicinato che ha bisogno di essere cambiata e ripensata dal profondo, nei suoi costi, nelle sue regole, nei suoi riti, nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendo ai segnali che i cittadini ci hanno mandato e ci mandano e ci continuano a mandare.

Sogno che questa aula diventi una casa di vetro e che questa scelta possa contagiare tutte quante le altre istituzioni.

Di quanto radicale e urgente sia il tempo del cambiamento lo dimostra la scelta del nuovo pontefice, papa Francesco, i cui primi atti hanno evidenziato una attenzione primaria, prioritaria verso i bisogni reali delle persone.

Voglio in conclusione rivolgere a nome dell’assemblea del senato e mio personale un deferente saluto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, supremo garante della Costituzione e dell’unità d’Italia che con saggezza e salda cultura istituzionale esercita il suo mandato di capo dello Stato.

Desidero anche ringraziare il mio predecessore, il senatore Renato Schifani, per l’impegno profuso al servizio di questa assemblea.

Un omaggio speciale di indirizzo ai presidenti emeriti, ai senatori a vita e a Emilio Colombo che ha presieduto con inesauribile energia la fase iniziale di questa 17esima legislatura, lui che ha visto nascere la Repubblica partecipando ai lavori della assemblea costituente.

Chiedo e concludo ricordando cosa mi disse il capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto, poco prima di entrare nell’aula del maxiprocesso contro la mafia: “Fatti forza, ragazzo, vai avanti a schiena dritta e a testa alta e segui sempre e soltanto la voce della tua coscienza”.

Sono certo che in questo momento e in questa aula l’avrebbe ripetuta anche a tutti noi. Grazie.

Francesco

Laura



Care deputate e cari deputati, permettetemi di esprimere il mio più sentito ringraziamento per l’alto onore e responsabilità che comporta il compito di presiedere i lavori di questa assemblea.

Vorrei innanzitutto rivolgere il saluto rispettoso e riconoscente di tutta l’assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è custode rigoroso dell’unità del Paese e dei valori della costituzione repubblicana.

Vorrei inoltre inviare un saluto cordiale al Presidente dalla Corte costituzionale e al Presidente del Consiglio.

Faccio a tutti voi i miei auguri di buon lavoro, soprattutto ai più giovani, a chi siede per la prima volta in quest’aula. Sono sicura che in un momento così difficile per il nostro paese, insieme, insieme riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane.

Vorrei rivolgere inoltre un cordiale saluto a chi mi ha preceduto, al presidente Gianfranco Fini che ha svolto con responsabilità la sua funzione costituzionale.

Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi in Italia come in molte periferie del mondo. E’ un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno.

Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Dovremmo impegnarci tutti a restituire piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. In questa aula sono stati scritti i diritti universali della nostra Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e garantire uno a uno.

Quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Di una generazione cha ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.

Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.

Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato.

Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.

Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.

Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile.

In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.

Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a chi oggi a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per mano mafiosa. Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono molto.
E molto, molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta che ricordiamo con commozione oggi nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.

Questo è un Parlamento largamente rinnovato. Scrolliamoci di dosso ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Rendiamo il Parlamento e Il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani.

Sarò la presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato, mi impegnerò perché la mia funzione sia luogo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese.

L’Italia fa parte del nucleo dei fondatori del processo di integrazione europea, dovremo impegnarci ad avvicinare i cittadini italiani a questa sfida, a un progetto che sappia recuperare per intero la visione e la missione che furono pensate, con lungimiranza, da Altiero Spinelli.

Lavoriamo perché l’Europa torni ad essere un grande sogno, un crocevia di popoli e di culture, un approdo certo per i diritti delle persone, un luogo della libertà, della fraternità e della pace.

Anche i protagonisti della vita spirituale religiosa ci spronano ad osare di più: per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente “dalla fine del mondo”. A papa Francesco il saluto carico di speranze di tutti noi.



Consentitemi un saluto anche alle istituzioni internazionali, alle associazioni e alle organizzazioni delle Nazioni Unite in cui ho lavorato per 24 anni e permettetemi – visto che questo è stato fino ad oggi il mio impegno – un pensiero per i molti, troppi morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce. Un mare che dovrà sempre più diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni.

Sento forte l’alto richiamo del Presidente della Repubblica sull’unità del Paese, un richiamo che questa aula è chiamata a raccogliere con pienezza e con convinzione.

La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione.



Stiamo iniziando un viaggio, oggi iniziamo un viaggio. Cercherò di portare assieme a ciascuno di voi, con cura e umiltà, la richiesta di cambiamento che alla politica oggi rivolgono tutti gli italiani, soprattutto in nostri figli. Grazie.

Rondini


venerdì 8 marzo 2013

8 marzo



Donna regale

Margherita Pavesi Mazzoni

Takuro Noguchi

Cippato

Approfittando del sito citato nel post precedente, sull'uso del cippato:

http://vimeo.com/provisionsproductions/backtoedenspanish

La versione breve:


http://www.backtoedenfilm.com/





giovedì 7 marzo 2013

L'orto in Transilvania

Un orto da seguire:

http://ortolistico.wordpress.com/2013/01/17/un-nuovo-progetto-per-il-2013/#



La versione completa in inglese:



...

La contadina –non contadina ha continuato a spazzare e ramazzare per giorni, per fortuna, però, è stata aiutata da tutti quelli di casa, perché le foglie da raccogliere, gli astoni dei nuovi fruttiferi da mettere a dimora, la vegetazione da rincalzare, la corteccia da stendere e tutti gli altri lavori da fare erano veramente tanti. Per qualche giorno un fremito ha animato i metri quadri dell’orto-giardino. Bambini con rastrelli e pale, adulti con forbici e seghe, anziani a portar sacchi e spostare foglie. E dire appunto che tutto lo spazio non sono altro che quei 380 mq. Fossero di più…

Poi quando il grosso dei lavori stava terminando la contadina-mancata è mancata davvero e si è fatta un giro al Pronto Soccorso.

Ora piove e si sta a guardare da dietro i vetri il verde che torna, la vita ripartire.

venerdì 1 marzo 2013

5 ore

La contadina che ha sbagliato mestiere e per vivere fa altro, quest'oggi ha iniziato a togliere la pacciamatura di foglie di faggio sparse per tutto il giardino. A novembre stavano solo intorno ai piedi delle verzure, dei fruttiferi da proteggere, poi: i venti, le piogge, la neve e ogni altro agente atmosferico han fatto baruffa di tutto e scompaginato ogni ordinato. Allora la contadina munita di rastrello e mastelli ha iniziato ad ammucchiare e riempire, trasportare, scaricare e distribuire perche le foglie del faggio diventino nutrimento, humus per i piedi del Kiwi, delle azalee. Era bello lavorare la terra quest'oggi, il sole appena tiepido si posava sulle spalle a sciogliere la forza dei muscoli in mille gesti lenti e calibrati. La contadina ha lavorato 5 ore senza posa, ma, del tempo, si è accorta solo quando è sceso lo scuro.

Sotto la neve

Ortensie

Vasi al muro

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Calicantus sotto la neve

Bosco