martedì 7 maggio 2013
Ghiaioni
Il temporale si rovescia improvviso su me che sto dentro l'autovettura. Ho risalito la valle per andare in cerca di balle di paglia. Sto alla periferia di una città borghese e opulenta che ha cessato da molto il suo uso e ripudiato il suo passato di pesce e frumento, ciliegie e viti. Così per ricoprire l'orto devo salire la valle, aggirare il monte che le fa da caldaia, e raggiungere le pendici delle terre che ancora vivono di bestie e formaggi, maggese e agriturismi. L'acqua mi riempie il parabrezza, inonda il lunotto, scoscia addosso; i fumi della condensa riempiono l'abitacolo. Un tuono improvviso, cruento, mi sfascia le orecchie, il cuore, mi riporta bambina a scendere i ghiaioni. I sassi mi rotolano sotto i piedi e più rotolano più io corro per tenere il bilico e non finire a muso per terra. Accellero il salto, tengo il ritmo del sasso che gira, la partitura del boato che dietro la schiena mi accompagna a valle. Non è la valanga che mi rincorre, ma la voglia di giocare, sentirmi viva, che mi porta a salire le pendici per un'ora, due, per poi scendere, lanciata a perdicollo, per poche manciate di minuti, i canaloni pietrosi. Salto e il boato è una spinta ad arrivare a valle prima dei ruzzoloni, le ginocchia sbucciate, l'acqua che fa pozza sotto le ruote della macchina. Un attimo e spiove, l'uragano è passato, io, sono trent'anni più grande.
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